lunedì 5 dicembre 2011

Fondazioni Culturali limiti e opportunità



Mai come oggi, è dato di riscontrare la vitalità di una società civile che nella Fondazione individua uno strumento di per se funzionale al perseguimento di finalità collettive, sociali e assai frequentemente culturali.
“Un patrimonio per uno scopo, nell’ambito di finalità di interesse collettivo”






Quadro
La definizione di Fondazione Culturale, non è oggi definita da criteri certi e da formule riconosciute, nè tanto meno da requisiti universali, per orientarsi nel percorso normativo su tali soggetti di diritto privato, possono essere utili alcune leggi come la 534/96 (norme per l’erogazione dei contributi statali alle Istituzioni Culturali) o la 367/96 (trasformazione pubblico privato degli Enti Lirico-Sinfonici), tali norme rappresentano in qualche modo le peculiarità di un certo modello di Fondazione Culturale nel nostro paese, peculiarità che fissano standard di riferimento nel riconoscere un’Istituzione e quindi una eventuale F. Culturale, per poter accedere a un contributo
statale, e rientrare dunque nelle caratteristiche di “interesse nazionale” del MIBAC, alcuni punti sono:

• “promuovere o svolgere in modo continuativo attività di ricerca e d’elaborazione culturale documentata e fruibile”
• “organizzare convegni, mostre e altre manifestazioni di valore scientifico e culturale”
• “disporre di un rilevante patrimonio, bibliografico, archivistico, museale, cinematografico, musicale, audiovisivo pubblicamente
fruibile in forma continuativa”
• “di svolgere e fornire servizi, di accertato e rilevante valore culturale, collegati all’attività di ricerca e al patrimonio documentario”





Di indubbia importanza nel riconoscimento, risultano essere gli ultimi due punti, l’accezione di “fondo patrimoniale”, sia esso materiale o immateriale, è in genere ragione rilevante nella costituzione di una Fondazione.
Nell’immaginario collettivo il concetto di F. Culturale è di derivazione storico-umanistica, da cui emerge una certa sacralità di un’arte e una cultura alta, di valore inestimabile, che va preservata e divulgata alle generazioni future, sia esso un patrimonio, artistico, archeologico, musicale, cinematografico, discografico, monumentale. Non a caso molte delle Fondazioni formatesi nell’ultimo decennio, riguardano un’Istituzione antica come il Teatro (la Scala e le Fondazioni Lirico Sinfoniche, e oggi anche i Teatri di Tradizione) , o le istituzioni museali (Il Museo di arte Egizia di Torino), le collezioni private (gallerie e case museo) e in genere beni di altissimo valore artistico ed economico.
La città di Bologna, conta diverse Fondazioni, di diversa tipologia, il Teatro Comunale di Bologna, le Fondazione Carisbo e Del Monte, la Fondazione Gramsci, la Fondazione Museo Ebraico, Aldini Valeriani e Villa Ghini; in Emilia Romagna ve ne sono molte altre tra cui segnaliamo le recenti trasformazioni a Fondazione dei Teatri di Tradizione di Ferrara, di Modena, di Reggio Emilia, e ancora la Fondazione Arturo Toscanini, L’ERT, per citare le più importanti.
Nel definire la tipologia di F. Culturali, una schematizzazione seppur sommaria, va fatta tra:

1. Fondazione a carattere di erogazione (o grant-making), impegnate a finanziare iniziative realizzate da terzi soggetti (grantees, in genere anch’essi organizzazioni di carattere culturale di interesse pubblico) con stabilità sistematica e convenzionata. Spesso di derivazione bancaria, queste Fondazioni svolgono un ruolo paraistituzionale, nell’affiancarsi all’amministratore pubblica come finanziatore e socio fondatore di importanti Fondazioni del territorio, esempi in tal senso sono la F. Carisbo e Del Monte.
2. Fondazioni Culturali operative, che concentrano la propria azione su una o più intraprese culturali, gestendole direttamente a mezzo di un’organizzazione propria, con livelli diversi di outsourcing di attività, esempi possono essere la Fondazione Teatro Comunale di Bologna o la Fondazione Aldini Valeriani .





Ciò detto, il panorama delle F. Culturali del nostro paese, risulta essere definito in preponderanza da ex-istituzioni, in alcuni casi ex-enti, che in merito a una attività riconosciuta di interesse collettivo, svolgono ruoli di produzione, divulgazione e conservazione culturale, a vari livelli e con varie forme. Risulta difatti:

1. l’utilizzo della Fondazione da parte delle amministrazioni (specie locali e regionali) quali nuovi agenti di politiche pubbliche o di produzione di beni collettivi, che in altri tempi sarebbero state affidate ad enti pubblici o para-pubblici, attraverso gli strumenti del diritto privato e non di quello amministrativo; spesso tale uso si associa alla creazione di partnership pubblico-private,
2. il ricorso alla fondazione da parte del settore pubblico quale agente di trasformazione e riorganizzazione di enti pubblici. Processo non sempre lineare e politicamente controverso (vicenda delle fondazioni di origine bancaria), né sempre di straordinario successo (enti lirici), ma molto rilevante e probabilmente in crescita.

Opportunità
L’adozione del modello Fondazione da parte dello Stato o degli Enti locali, è ormai pratica di$usa, e spesso ritenuta necessaria, nel perseguire obbiettivi di sostenibilità, dinamicità e superamento di gestioni pubbliche ingessate e stantie, intrise di uno standard ritenuto obsoleto (ottica da dipendente statale) nell’affrontare le sfide della contemporaneità del settore (beni artistici e culturali). Sfide che pretendono risposte efficaci alla
globalizzazione, alla rivoluzione digitale e al pieno sfruttamento dei canali mediatici, nel perseguire gli obbiettivi non solo di conservazione (lirica, musei, arte, restauro) ma anche di formazione, divulgazione ( marketing territoriale, interazione con l’università e scuole, presenza sui nuovi media) e produzione (musica contemporanea, produzione cinematografica, editoria, nuovi spettacoli ecc.). Non da ultimo, il passaggio dal vecchio ordinamento Ente- Istituzione a F. Culturale, ha sottolineato forti auspici di ingresso a partnership private, in grado di rendere sostenibile il comparto ridandogli slancio, pur preservando gli obbiettivi statutari di gestione di patrimonio pubblico.


Opportunità mancate (limiti)
Tali auspici, intesi come opportunità e ispirati a modelli d’oltreoceano - dove hanno trovato virtuosa diffusione non solo nelle Istituzioni Culturali di cui sopra, ma anche in importanti segmenti come le Università -, in Italia non hanno trovato compimento, dimostrando limiti sistemici ad oggi non ancora superati, vere e proprie impasse che rendono critiche le condizioni di molte Fondazioni, dopo solo un decennio dal loro concepimento. Se da un lato, lo svecchiamento delle dinamiche di gestione ingessate e stantie (di cui sopra) non si è affatto realizzato, - per motivi che definiremmo culturali anch’essi -, dall’altro anche l’ingresso del privato nei soci delle Fondazioni non si è mai realizzato nei fatti, lasciando simbolicamente vuota la poltrona nei CDA delle Fondazioni, fatte salve poche eccezioni. I motivi del mancato perseguimento di questi obbiettivi sono da ricercare (come dicevamo) in limiti culturali prettamente nostrani manifesti nella gestione a tutti i livelli sia di Fondazioni od anche di Società ove ci sia una forte commistione pubblico-privato, con prevalenza del primo rispetto al secondo. Il limite più grande che salta agli occhi è individuabile nel livello di amministrazione più alto, la lottizzazione politica e partitica dei CDA. Organi preposti alla delibera di questioni strategiche e importanti, i CDA scontano l’invadenza di nomine politiche dei consiglieri, spesso totalmente slegate dalla competenza tecnica necessaria all’amministrazione e alla gestione di Fondazioni peculiari e complesse. Tale pratica si riflette via via ai livelli bassi, in mancata innovazione, dinamicità, e imprenditorialità, tale che l’ottica da dipendente statale di cui sopra, non è mai stata superata. Il mancato cambiamento come già detto, è dovuto in parte significativa anche alla mancanza di privati come “reali” fondatori dell’assemblea dei soci, spesso questi sono costituiti esclusivamente da altre Fondazioni grant-making di carattere bancario, ma manca ad oggi l’ingresso del modo produttivo della grande impresa. Tale ingresso è scoraggiato da un mancato quadro legislativo in grado di incentivare l’interesse a investire in Cultura. Diversi paesi, europei e non, dispongono alle imprese e ai privati in genere, forti sgravi fiscali nel caso di finanziamenti a Teatri, Musei ed Eventi Culturali, sgravi che in alcuni casi arrivano all’ 80-90% del capitale investito, e risultano molto appetibili per le Società che investendo in Cultura hanno un notevole ritorno in immagine e pubblicità.





Oggi a fronte di un progressivo e inesorabile disimpegno del pubblico, e, a scapito di una quasi totalità di assenza del privato, molte F. Culturali rischiamo il collasso, vedendo erodere il patrimonio disponibile garante dei passivi di bilancio, anno dopo anno. Risulta chiaro che si rendono impellenti interventi del legislatore che garantiscano un cambiamento de facto nel perseguire le reali opportunità che il modello Fondazione può offrire, indispensabile al
superamento di dinamiche pseudo-politiche e para-sindacali che minano l’innovazione e la dinamicità di cui il settore necessita, e ostacolano l’allargamento delle partnership private. Trasformando in limiti quelle che prima erano opportunità.



P.S Tale documento non vuole essere esaustivo del complesso e variegato mondo delle Fondazioni Culturali in Italia, tende invece ad analizzare parte significativa di queste, nell’evidenziare lo stato attuale delle Fondazioni di derivazione pubblica




Maurizio Tarantino