domenica 26 febbraio 2017

Elogio del disincanto

Non ricordava più! Semplicemente si rendeva conto che il tempo nel suo scorrimento niente più contava, ne incidevano i giorni e l'esperienze intrise nelle ore, il susseguirsi delle vicende, sguardi, paure, sorrisi, ansie... tutto sembrava appiattito in un'apatia surreale, come se la storia finita nella sua evoluzione, niente più avesse da raccontare, niente di più da far succedere, niente più da inserire nel museo delle sue verità.
Così il ricordo assumeva le sembianze di un bosco fitto di vegetazione, in un'altrettanto fitta nebbia intensa e opaca. Le parole stesse, scivolavano sul crinale si un significato assunto, pertanto scarico del suo stesso fascino, le emozioni stabilizzate, e la noia ormai presente nei dettami della rassegnazione, lasciava cadere la sua sentenza sui giorni tersi, di una stupida modernità.




lunedì 16 marzo 2015

Lo scarto di Landini e di chi visse di Speranza


Landini doveva rispondere che, si! Forse lui urlerà troppo nelle trasmissioni televisive, ma invece molti, troppi, ormai sono ridotti a tacere ogni giorno in parlamento.





Non fa questo però il leader della fiom, arranca in una risposta insufficiente, e mediaticamente inutile, perché lui non é Grillo, ne tantomeno Salvini, nemmeno Renzi, tutti personaggi affinati da una comune qualità, dire la cosa giusta al momento giusto, anche se tale cosa provoca, è falsa, è visionaria, é stupida, anche se non ha alcun senso che non sia l'effetto boom dello spot pubblicitario.

La massa é informe, non pensa, non é in grado di avere coscienza ne di essere organizzata, pertanto propende ad uniformarsi su poche linee guida, in genere dettate dall'alto, raramente proposte dal basso, sempre e comunque date da un genio carismatico, in grado di catalizzare consenso. 

"Un esercito non fa un generale, mentre un generale fa un esercito" Antonio Gramsci


Ormai da 30 anni e più Guy Debord ci ha detto quello che stavamo diventando, preceduto ancor prima, in alcune lettere luterane di Pasolini, previsioni allora bollate come intellettualoidi, si sono rilevate esatte,  ed é così che dalla società dello spettacolo, siamo passati al postmodernismo, e alla società dell'informazione, del web e dei social, del virale e dello spirito critico di milioni di produttori di contenuti, che comunque si rifanno, (non fosse altro che per mera questione di orientamento) ad alcuni catalizzatori main stream.

Nessun carattere di prossimità (festa dell'Unità, rapporto con i territori) potrà mai contrastare la forza di tre parole giuste dette al momento giusto a 10 mln di persone. É il  potere del mezzo, certo, ma é anche la capacità di ammaliare e conquistarsi quel potere. Renzi vince su Grillo che aveva vinto su tutti gli altri, perché annuncia  1 mld€ di tagli sui costi della politica, cosa ovviamente falsa, conduce per spot i consigli dei ministri e le conferenze stampa, e questo funziona. La sua auto rappresentazione é del giovane scaltro, leggero e deciso, una sorta di opera d'arte di se stesso, scatena critiche furibonde alla sua persona, che fomentano il suo centralismo, per tanto le tre parole #Enricostaisereno, valgono più di mille strategie di maghi della comunicazione per la campagna elettorale.
Il livello eguaglia l'Obama dei tempi d'oro,  il "ti spetta un pugno" di Papa Francesco o la ben più faticosa traversata a nuoto dello stretto di Messina da parte di Grillo. 

Tornando a Landini é certo che mettendo sullo stesso tavolo Arci, Libera, Emergency, ecc. dire che vuole non vuole fare politica, che non vuole fare partito ma vuole un sindacato che si occupi di politica, che riuscirà a costituire l'esercito senza il generale di cui sopra, serve a poco, serve invece chiarezza, in sole tre parole, senza tentennamenti, parli chiaro ma soprattutto reciti la sua parte credendoci, senza guardarsi troppo attorno, come facevano gli attori mattatori nelle grandi platee del teatro all'italiana. 
Non é attorniandosi dai associazioni e simboli più o meno identificabili dalle facce da talk show, che si costiutirà un partito che aspiri anche solo al 10%, almeno non é una condizione sufficiente, perché su 30 mln di elettori, solo qualche centinaio di migliaia, conosce il senso non espisodico di tale civile società, per molti queste sigle e di conseguenza la coalizione che ne scaturisce, non sono altro che tali, riconosciute perché di tanto in tanto la televisione o internet le hanno introdotte per un frangente nella loro sfera privata, non rappresentano i quartieri popolari e le famiglie allargate delle periferie delle città, o dei paesi di provincia. 
Insomma in questa nuova proposta in cui molti sperano e credono,
sembra che si sbagli per tempi e modi, serva piuttosto un'azione politica, perché in Italia, Syriza é  narcisistica, il renzismo sta per capitalizzare il Quantitative Easing, e Podemos ( probabile punto di riferimento di Landini) é rimasto bloccato (ha scelto di fermarsi) sotto i fumogeni tra le sassaiole di Via Merulana il 15 Ottobre 2011, e non é mai arrivato in Piazza San Giovanni, rileggendo un copione già scritto a Genova nel 2001 o a piazza Plebiscito di Napoli nel 1991, risalendo ancora indietro fino al '77 bolognese, in un antropologia dei movimenti e di retaggi armati della resistenza. 

giovedì 6 novembre 2014

Dal Valore della Produzione al Valore della Cultura. Ovvero precarietà di un modello gestionale.

Viviamo tempi di profondo cambiamento, cambiamento negli stili di vita, nelle aspettative sul futuro, nella possibilità di pensare, progettare, realizzare. Tempi in cui una metamorfosi lenta e inesorabile, cambiano i connotati dell'economia, del welfare e dello stato sociale. Tempi in cui, aspettative più o meno evanescenti, si ripongono in nuove forme e nuovi concetti, nuovi slogan e nuova terminologia, il linguaggio difatti è spesso sintomo e simbolo del cambiamento. Così se nella produzione il termine impresa in senso classico, va lentamente cedendo il passo al ben più attraente start up, nella produzione culturale, si fa un gran parlare, di imprese culturali e industrie creative. E’ un segno dei tempi, evidentemente legato al fatto che la contingenza economica e la dottrina che ne scaturisce, basa sui processi produttivi e di consumo, la sua ragion d’essere. Pertanto, ove prima la Cultura insegnata e prodotta, aveva una chiara accezione umanistica, legata alla produzione di significato, alla formazione dell’individuo, e plasmando era a sua volta plasmata dalle dinamiche socio culturali di una determinata fase storica, oggi invece viene meno tale presupposto, lasciando intravedere una produzione culturale, sempre più tecnico scientifica, legata nel suo essere, al consumo ludico, turistico, d’intrattenimento, da una parte, e dall'altra, alla parametrazione basata su calcoli prettamente economici e di bilancio, di entrate e uscite, appunto nel senso imprenditoriale e industriale del concetto. Come se, -per parafrasare il nome di un recente decreto sulle politiche culturali- , sia il Valore della produzione (la prima e più importante voce dei bilanci delle imprese) a determinare il Valore della Cultura, e che quest’ultimo abbia ragione di esistere solo in funzione del primo. In breve, per induzione il calcolo è presto fatto, se la produzione del significato (valore della cultura) è sostenibile al pareggio del bilancio (valore della produzione), ha ragione di esistere, altrimenti è destinato a fallire. Va da se che in una società caratterizzata da un consumo irresponsabile schizzofrenico viziato da simboli pubblicitari ecc. i consumi culturali richiesti da questo tipo di domanda, sono frivoli, ludici, spettacolari, e più che formare l’individuo, tendono a sedarlo, a renderlo succube, seguendo dinamiche legate appunto al consumo, di creazione del bisogno e di assuefazione. Nulla di nuovo, se non il perpetuarsi di del dogma, secondo cui, la produzione culturale, avrà motivo si sussistenza, solo ove sarà in grado di creare indotto, e poco importa se il significato veicolato, sarà creativo, formativo, piuttosto che nichilista o distruttivo. Sempre per tali ragioni, nei calcoli dell’indotto del settore culturale, oggi entrano le imprese culinarie, la moda e la produzione del lusso, le agenzie pubblicitarie, moltissimi segmenti dell’economia che con palesi forzature vanno a inserirsi in settori non propri.

Sono considerazioni generali, oggi considerate intellettuali e démodé, certo è, che chi decide di chiamare “il Valore della Cultura” un decreto del MIbac, fa un’azione riconoscibile, da importanza a un preciso termine e a un preciso concetto, il cambio di passo successivo dell’attuale legislatura, inserisce invece il concetto di "Bonus" prima del termine "Art" facendo un'altro tipo di azione. Non si intende certo qui fare considerazioni su decreti che entrambi hanno valide ragioni di innovazione, necessarie e da tempo attese, come gli sgravi fiscali sul mecenatismo, recentemente introdotti. E’ solo per seguire soggettivamente il filo logico del linguaggio che cambia, presagendo un cambio molto più profondo . Un cambio a volte traumatico, e devastante. In alcuni grandi teatri, la produzione, dunque il prodotto, si lega direttamente alla forza lavoro. Qui legare il concetto stringente di pareggio di bilancio, al valore della cultura, è un concetto pericoloso, che ricade direttamente sul prodotto, perché il prodotto è identificabile con l’artista, il maestro. Essendo il costo del personale la voce più onerosa delle uscite nel bilancio, per tutti i teatri, ed essendo esso stesso la materia prima, già finemente lavorata e messa in offerta al pubblico, incidere sui costi per rispettare i ricavi, genera uno scadimento fino all’estinzione del prodotto stesso. Come se, una griffe di moda per poter esistere, non potesse più produrre capi di qualità, o non potesse più produrre. Per quanto necessarie e stringenti siano azioni di ristrutturazione nel settore, visti ad esempio i debiti sproporzionati delle Fondazioni Lirico Sinfoniche.
Il rischio implicito nel voler imprimere una sorta di Fiscal Compact dei Teatri, con tanto di fondo di salvataggio, e troika ispettiva, è quello dell’annullamento della Valore della Cultura. Della lenta perdita di un patrimonio immateriale immensamente più importante di un Ministero, che ne decreta inconsciamente la fine. Non è certo la critica a questo o quel Ministro più tosto che a un direttore generale. È la critica a un modello di commistione pubblico privato, le fondazioni, che ha rivelato negli ultimi 15 anni, tutti i suoi devastanti limiti. Un modello per cui oggi i nodi al pettine, emergono e trovano da parte della politica e di buona parte dell’opinione pubblica, un capro espiatorio, nei lavoratori, nei sindacati, che pur avendo anch’essi le loro colpe, non possono essere considerati la radice del problema. Fa sorridere per esempio, il fatto che non ci si interroghi, sui così detti privilegi di questi lavoratori in maniera bilaterale. Il compito del sindacato è stato acquisitivo in termini di diritti, dalla sua nascita, fino a pochi anni fa, oggi è palesemente difensivo. Dunque se i sindacati e i lavoratori da essi rappresentati, hanno acquisito diritti insostenibili negli anni, a volte risibili, e ingiustificati, ne hanno colpa solo in minima parte, avendo svolto essi la loro ragion d’essere.
Il punto è, che gli imperdonabili errori gestionali, sono stati fatti in gran parte da chi quel diritti poteva riservarsi di non concederli, e invece lo ha fatto, per suo personale interesse. Dov’erano i sovrintendenti, i dirigenti, dov’erano soprattutto in consiglieri dei Cda e i presidenti delle fondazioni liriche, quando si stringevano integrativi fallimentari? Perché la parte gestionale non è sul banco degli imputati, come si sta facendo invece con le orchestre? Nessuno ha rilevato il fatto che i Cda di queste fondazioni, sono stati frutto di lottizzazioni politiche, che sono stati fasulli organi volitivi, in cui era più l’attenzione alle rendite di posizione e al prestigio dei consiglieri, che il loro effettivo ruolo svolto in termini decisionali. Di quanto i rappresentanti dei così detti privati, per lo più fondazioni bancarie, anno taciuto, hanno approvati, sono stati causa di mala gestione, cedendo a ricatti di lobby, per preservare lo propria posizione, nessuno né ha parlato. Di contro spesso capita di legger sui giornali alcuni di essi pontificare e incriminare i sindacati/lavoratori, di scarsa lungimiranza. Come se le gestioni siano state in capo ai dpendenti, e non hai dirigenti, come se le decisioni siano state in capo ai sindacati, e non ai Cda e ai sindaci presidenti delle Fondazioni. Se questo è successo, è un fenomeno prettamente italiano, ha radici antiche, ed è imputabile quantomeno in senso bilaterale, alla gestione, come alle parti sociali. Oggi il sistema culturale italiano è precario, prim’ancora che i lavoratori, sono precarie le istituzioni, le fondazioni, le associazioni, come nelle partecipate, il problema principale, non è nel dover imporre austerità alle strutture di produzione culturale, mortificandole e trasformandole fino all’estinzione, per meri calcoli di bilancio. Non è puntando alla produzione di massa, e alla standardizzazione e industrializzazione del prodotto culturale, che avremmo assolto a un compito di buon governo. Sarà piuttosto rivedendo i modelli gestionali e amministrativi che forse preserveremo il valore della Cultura e non solo il valore della Produzione.

Maurizio Tarantino

giovedì 29 maggio 2014

Tsipras e Bologna. Sogno e realtà

Una piazza rossa e sventolante di bandiere, in grado di ridare speranza a un popolo smarrito e vieppiù disincantato da quell'area indefinita, piena di buoni principi e punti fermi, caratterizzata da un simbolismo e un codice etico civile morale, che definiamo sinistra.
Fa riflettere il fatto che i rappresentanti espressi negli ultimi 20 anni da quest'area, non siano stati altro che esili tentativi nel riconoscere tale compromettente simbolismo, o al contrario, lo abbiano sbandierato come tratto fondante di un'identità integra e pura, quanto nostalgica fuori luogo ed essenzialmente fuori tempo. Così sotto i nostri occhi si è lentamente dissolta l'idea della sinistra, tra l'idea di una resurrezione, e quella di una trasformazione. Tra chi urlava e stringeva il pugno, e chi non riusciva a pronunciare pubblicamente la parola compagno. Così abbiamo deciso di affidare altrove la nostra speranza, in un uomo che senza strabordare nel fanatico, imprime alla gente i suoi punti fermi e una chiara e limpida azione di sinistra senza imbarazzi o censure. Dal palco di Bologna recita " sono contento di vedere questa piazza piena di bandiere rosse, com'era quando qui parlava Berlinguer",come non emozionarsi a queste parole... Quella piazza grande, vedeva 40 anni fa, sfilare il più grande PC dell'occidente. E la Bologna di oggi tributa il 9% a Tsipras, mentre il pd bolognese espelle, i suoi dirigenti (come li chiamano loro) compiendo un evidente atto di invidia, solo perché in quella piazza qualcuno ha voluto continuare a sognare. È questa la città che forse tra le poche in Italia sa riconoscere e si emoziona davanti al simbolismo autentico della sinistra.


D'altra parte, non si può però esimenrsi dal trattare il sogno, senza porre attenzione al sonno, profondo, e non rilevare l'altra faccia. Quella dei retaggi che sfilano nelle varie sale e salette a rappresentare chi o cosa possa essere garante del suddetto simbolismo, si tratta di retaggi post'77, gli stessi che erano nella suddetta piazza di Berlinguer... e questo un pò preoccupa. Paradosso che la città nelle sue assemblee di sinistra diciamo, sia ancora "oggeto" di un gruppo di luogotenenti referenti di carattere idealistico di un sogno dissolto e rimasto solo nella testa dei vari gruppi di collettivi e di reduci, che sostanzialmente li tengono in vita. Così dalle esperienze di Radio Alice passando all'esperienze (cooperative) di radio Città del Capo, si diffonde il verbo della sinistra bolognese, presunta sinistra italiana, e si torna alla realtà, di quell'area che non difende neanche se stessa, la sua storia e la sua struttura partitica, sono indipendenti, mai troppo a sinistra. Emerge piuttosto un panorama confuso in un magma eterogeneo, una sorta di modernizzazione dei retaggi, dove nel rincorrere l'esperienza grillina del non partito, del movimento auto organizzato si stigmatizza la storia politica della sinistra, un panorama dove le istanze di genere si improvvisano compagne di banco alle lotte (presunte) ambientaliste, alla difesa della scuola pubblica, stringendosi ai sempre presunti movimenti per l'immigrazione, si autorganizzazno ognuno con il loro pezzettino, in seno a un progetto simbolista che si sviluppa intorno all'emanazine centrale di saggi (sempre presunti) con le loro dirette emanazioni territoriali, una sorta di CNL del 21esimo secolo, dove i nuovi aspiranti Parri si chiamano Viale e dove sul territorio vari a volte anche eventuali pseudo cloni si arrogano il diritto di discernere il sacro dal profano. Di dare il verbo e il simbolo, la censura e la parola. Il risultato finale e una sorta di scimmia del M5S, una sorta si sinistra anti politica, anti partitica che inconsciamente e ciecamente diffida a priori di se stessa e della sua storia. Una rivoluzione civile due, dove l'unico elemento valido di tutto ciò, Tsipras, é destinato a non esserne più elemento fondante. 
E ora, si riparta da capo! 

giovedì 3 aprile 2014

Evgenij Onegin la Russia di Puškin e Čajkovskij


Eugenie Onegin, tratto dal poema di Puskin, lirico luogotenente della cultura russa, é un dramma romantico in tre atti, riportato al melodramma dal primo e più grande compositore di nazionalità russa Pėtri ll'ic Čajkovskij, celebre soprattutto per le composizioni di storici balletti come Il lago dei Cigni o LoSchiaccianoci.



L'Eugenie Onegin insieme alla Dama di picche, é tra le poche Opere del compositore, probabilmente la più importante, mancava dal palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna da almeno un decennio, recentemente è stato riproposto anche al San Carlo di Napoli per la regia di Michael Znaniecki diplomato alla Paolo Grassi e laureato al Dams di Bologna. Al Comunale, invece la regia è stata affidata Mariusz Trelinski, curioso, rilevare come entrambi i registi, quasi coetanei, siano di Varsavia, e come entrambi, pluri premiati e riconosciuti internazionalmente,  si siano contesi e avvicendati nel ruolo di direttore artistico del Teatr Wielki Polska Opera Narodowa (opera nazionale polacca) dove svolgono la loro attività, qui rileviamo come la scena polacca in special modo quella di Varsavia, si conferma ad oggi una delle più interessanti, nel panorama delle produzioni liriche europee.

L'Onegin, porta nelle sua costruzione narrativa, molti dei capisaldi della cultura russa del'800, essenzialmente un poema romantico, fatto di archetipi della figura umana che messi a confronto si sfidano tra loro, il testo si presta a una semplice lettura, la trama scarna ed essenziale lontana dalla complessità e agli intrighi drammatici classici dell'opera all'italiana.
L'impostazione di Puskin è molto è più profonda, lampanti emergono le lotte tra i tratti essenziali dell'animo umano, tra i valori di riferimento dell'epoca, fatta di onori e amori romantici, nel periodo storico inserito nella sacralità dell'idealismo ancora non messo in ombra dal materialismo.
Tali tratti emergono chiaramente nella pochezza e nell'egoismo di Onegin giovane mondano (dandy) di frivoli principi, avvezzo al divertimento e all'arroganza, sicuro di se è del suo fascino,  e sprezzante dell'altrui sensibilità, un figura  che nei primi del '900 si sarebbe detto decadente.
L'egocentrismo del protagonista, avrà la meglio sull'altruismo, la vitalità, l'ingenuità, l'amicizia di Lennskij, giovane poeta che morirà sotto il fuoco di Oneign in un duello, prefigurando la morte di Punskin stesso, che in duello con il barone Van Heecheren rimarrà ferito mortalmente morendo pochi giorni dopo. La poesia e la purezza ma anche l'onore e la dignità, di Lenskij uccise dalla frivolezza e dall'arroganza di Onegin, rendono l'idea del significato profondo del melodramma, e di come tale enfasi distruttiva tra valori contrastanti possa essere rappresentata nell'Opera lirica.
Sarà la purezza e fragilità di Tat'jana innamorata di un Onegin disinteressato all'amore umile e semplice della fanciulla e orientato allo sfarzo dell'alta società, che avrà la meglio sull'arroganza del protagonista, quando la stessa Tat'jana sposata al pluridecorato principe Gremin in grazia alla corte dello Zar, allontanerà un Onieigin ficcato e disorientato dalla maturità che si prostrerà ai suoi piedi nella speranza di esercitare nuovamente il suo fascino e subirà invece il dei lei rifiuto prendendo atto della sua pochezza e dichiarandosi dannato.

Lo spettacolo in se ha tratti vivaci, la  regia di Trelinski è votata a un impianto di fondo che definirei " spettacolare" pur senza eccessività, si esagera un po' con le luci, inserendo molti colori, fuxia, giallo fosforescente, rosa, dando all'Opera una dimensione di un pop non dichiararato, anzi negato, detto e taciuto al contempo. Una lettura non proprio ortodossa - non che chi scriva ami l'ortodossia in se - ma di fatto la messa in scena del Teatro russo, richiede un'attenzione soft, in passato proprio al Comunale di Bologna per rimanere su uno spettacolo russo, la Dama di Picche di Richard Jones, aveva avuto queste attenzione, memorabili alcuni dipinti fondali in sovrapposizione, qui invece, si respira anche se in maniera non evidente, l'aria di Musical, e questo per un  Čajkovskij (modesto avviso) non va bene.  Molto azzeccata invece la scelta della passerella in viso alla platea, curato il linguaggio prossemico  dei personaggi, dove si vede molto l'impronta cinematografica del regista, i ballati, (a cura della compagnia Artemis) di cui l'Opera è ricca, tra valzer, mazurche, danze scozzesi, sono vivaci anch'esse. Interessante è stato soprattutto, il voler creare un alter ego, muto e bianco come il suo fantasma, di Onegin, onnipresente in scena è il riflesso della sua anima, interpretato con notevole arte mimica, dal coreografo in persona Emil Wesolowsky.

Nel complesso, per un pubblico classico, la regia e le scene e i costumi saranno molto gradevoli.

Le composizioni del Čajkovskij d'Opera, non hanno mai avuto picchi memorabili, il compositore, raggiunge le sue vette, con la composizione per balletti, nel merito manca di drammaticità e del travaglio d'animo tipico del Trovatore di Verdi per fare un esempio, o della Norma di Bellini
Questa diretta da Aziz Shokhakimov giovane direttore ventiseienne di nazionalità uzbecha alla sua prima direzione d'Opera in occidente, é pero un'interpretazione che va ben oltre l'impeccabile.
Il direttore audace e sempre in sintonia, da un imprinting peculiare all'Opera, domina e motiva l'Orchestra, spettacolare nei violoncelli, e in alcuni virtuosismi delle prime file di questi, sublimi chiaramente i ballati, ma sopratutto, il direttore è in grado di restituire drammaticità all'Opera ed è in totale sintonia con i cantanti, che lo seguono ciecamente.

A Tal proposito si segnalano tre punti e relativi interpreti assolutamente da ascoltare, l'aria di Lenskij seconda scena, secondo atto, meditabondo e colpito al cuore, mentre canta le sue sventure ridandosi dignità ed onore in attesa del duello mortale, è Sergey Skorokhov tenore di grazia.

Scena danza scozzese prima scena, terzo atto, su aria del Principe Gremin interpretato da Aleksei Tanovitsky  basso.


Da segnalare con maggior rilievo, è però la splendida interpretazione di Anna Kraynikova nelle vesti di Tat'jana, giovane soprano, russa, formatasi alla Scuola dell'Opera, proprio al Comunale, e specializzatasi nel ruolo, che ha portato in giro per il modo Cina compresa. Offre una splendida performance in particolare nella scene finale dell'Opera, dove anche grazie al regista che sceglie di posizionare l'ultima scena di spalle al maestro e in viso alle prime file della platea, si raggiunge un tenore drammatico notevole, amplificato dall'unico duetto degno veramente interessante dell'Opera, quasi sublime e sicuramente travolgente. Peccato che la Kraynicova, faccia parte però della seconda compagnia, visto che la sua interpretazione sarebbe stata molto più valorizzata se inserita al fianco di Artur Rucinski nel ruolo di Onegin nella prima compagnia.


Unico rimprovero va al pubblico della prima, per la sua assenza, la sala presentava ampie zone vuote, come fu per The Turn of Screw di Britten, la sensazione è che il pubblico della Città, sia un po' superficiale, e che segua solo i titoli di ampia risonanza, come Tosca o Rigoletto ecc. non rendendosi conto, che l'Onieigin è un caposaldo della lirica mondiale, e come questo molti altri spettacoli che non sono del repertorio italiano... diremo che l'Opera è internazionale, ma che a Bologna il pubblico (specie quello della prima) è un po' provinciale.

Renè Valenzia

venerdì 21 febbraio 2014

Ministero ai beni e alle attività culturali. Ovvero il cameo allacarriera politica

Il primo buco nell'acqua del governo Renzi, é rappresentato da una scadenza nella classicità della lottizzazione politica, partitica e correntista dei ministeri. Non diversamente che come un lotto da assegnare al più fedele sostenitore, può essere considerata la scelta di assegnare il MiBac all'ex margaerita Dario Franceschini. In effetti possiamo tranquillamente connotare come storica, la propensione della politica italiana a considerare questo ministero come un omaggio alla fedeltà, un cameo alla carriera, un segno di riconoscimento alla presunta reputazione politica, di un politico navigato e di lungo corso, così di fatto é stato per il Bondi domestico di corte, come anche per il passaggio di Galan consigliere del regnante, e così é stato seppur in una più dignitosa dimensione, per il Rutelli di qualche anno fa in rappresentanza di quota parte, della dimensione liberal nell'ex Unione di Prodi, così é oggi per Dario Franceschini. Se in effetti é impensabile, collocare un politico che nulla ha mai avuto a che fare con l'economia nel Mef ( ministero economia e finanza), la cosa é ormai diventata prassi al ministero della cultura. Giusto Letta per un errore di percorso dato dallo stravolgimento della formazione del governo Pd, Pdl della primavera del 2013, decise di mettere un ministro di competenza, con il nome di Bray! che in questi giorni ha spopolato i Social in termini di solidarietà, appoggio, e di consenso per il lavoro svolto.


Questo chiaramente non é bastato, non sono bastati I twet i retweet e like sulla pagina "Toglietemi tutto ma non il mi Bray", non sono bastati neanche i velati appelli di Repubblica, nulla si é potuto contro la lottizzazione correntista del pd' quel Mnistero spettava a una persona che aveva un credito verso l'ex sindaco. Renzi avrebbe assegnato volentieri a Franceschini il Viminale, ma la variabile alfaniana, andava  controllata, pertanto ... quello era rimasto, il parcheggio al Mibac, eterno ministero di serie B nei fatti che però corrisponde a tutti gli effetti a una carica che di diritto rientra nel classicismo delle referenze governative di tutti gli esecutivi. 
Vedremo se Franceschini sarà in grado di aumentare il misero portafoglio della Cultura dall'irrisorio 0,18 % del PIL alla meta del più volte evocato 1% del bilancio dello stato. Vedremo se sarà in grado di affrontare i nodi irrisolti dell'ultraprecariato del settore, della mancanza di ammortizzatori sociali adeguati per attori, registi, musicisti, e via dicendo, che nelle nuove fascie generazionali rischia di decretare l'estinzione di questi mestieri e della relativa produzione culturale annessa. Vedremo se sarà in grado di affrontare il problema delle lobby e dei marescialli del ministero, che con una discrezionalità data solo ai luogotenenti di reggimento, decidono la morte e la vita di alcune realtà culturali a discapito di altre. Vedremo se sarà in grado di affrontare le criticità della produzione cinematografica, sempre più in affanno, se sarà in grado di affrontare i monopoli della distribuzione, se sarà in grado di fare chiarezza sull'assegnazione dei fondi del Mibac alla sempre uguale cerchia di registi, se sarà in grado di affrontare lo scempio degli stipendi d'oro dei dirigenti della Scala, se sarà in grado di rinnovare la stretta cerchia di sovrintendenti che circuitano da città in città, senza mai rispondere delle precedenti gestioni, il più delle volte fallimentari e in rosso. Ma soprattutto se sarà in grado di valorizzare e di difendere il patrimonio artistico materiale e immateriale del nostro paese. Se sarà in grado di dargli un mercato, di sviluppare un indotto sul territorio. Se sarà in grado di creare circuitazione e rete dei prodotti culturali, di promuovere contenuti nuovi e giovani registi emergenti, giovani drammaturghi e sceneggiatori, di creare un settore dinamico in grado di destare interesse anche oltre confine. Di diffondere la formazione culturale nelle scuole, di dargli il giusto risalto dei media di massa. 




Vediamo se sarà in grado di affrontare anche il 30 % di questi emergenze, o se al contrario continuerà nell'opera a cui assistiamo impotenti da ormai da vent'anni.. Quella dei tagli indiscriminati e di smantellamento (a questo punto definitivo) del sistema culturale italiano.

Buon lavoro ... Ministro.

Maurizio Tarantino

sabato 8 febbraio 2014

la Casa al tempo della crisi. tra politica ed economia. Ovvero genealogia di un dinosauro


La crisi abitativa, rappresenta oggi un problema di primaria importanza in tutte le principali città italiane. La caratterizzazione più sconvolgente della città contemporanea e postindustriale  è l'isolamento, che assume sempre maggiormente i tratti di una città individualista e frammentata, in cui il tessuto sociale é tenuto coeso sempre più dall'attività lavorativa e sempre meno dalla condivisione sociale, tale fenomeno è manifesto soprattutto nelle grandi città,  a Bologna i nuclei mono-familiari, ovvero famiglie composte da una sola persona, sono il 47,2% del totale circa 91.400, quelle composte da due persone sono il 28,3% del totale, circa 54.900, la realtà che ci restituiscono questi dati, é una frammentazione del nucleo famigliare inteso in senso classico, la famiglia in grado di creare gruppo di appartenenza e rete sociale di protezione in caso di criticità economiche si sta estinguendo.
Pertanto, il disagio sociale può assumere in breve tempo e in maniera incontrollabile, i caratteri di emergenza assoluta, per le città, ove vi fosse una indefinita prosecuzione o acutizzazione del periodo di crisi. C'è dunque un evidente problema sulla tenuta sociale della classe media, l'unica e ultima fascia di popolazione in grado di garantire reddito, la percentuale di persone in età lavorativa è sempre più ristretto, sacrificata e in difetto all'invecchiamento della popolazione - Bologna conta 35.000 cittadini sopra i 79 anni - e dell'entrata ritardata nel mercato del lavoro degli under 30 - di questi infatti solo il 3,8% riesce a fare una dichiarazione dei redditi -. 
Va da se che in questo contesto, il diritto all'abitare assume un importanza strategica per le più elementari condizioni di sopravvivenza di una società civile, pertanto, il bene casa, andrebbe garantito il più possibile anche ed eventualmente cercando un sostegno legislativo in grado di creare le condizioni a che il disagio sociale non sfoci in emergenza tout court.

Guardandola da un'altra prospettiva, l'edilizia e il mercato immobiliare in genere stanno affrontando e continueranno ad affrontare una delle peggiori crisi della storia moderna, in effetti, a guadarsi indietro ci si accorge che molte - se non tutte - le crisi finanziarie che hanno avuto effetti catastrofici per l'economia reale, sono partite da una bolla immobiliare. Quella attuale però é molto incisiva e rappresenta una delle più profonde crisi del settore a cui si é storicamente assistito.
 La Spagna, oggi a 6 anni di distanza dallo scoppio della crisi, conta circa 1.000.000 di appartamenti invenduti, e rappresenta l'emblema della speculazione immobiliare europea,  città come Barcellona Bilbao e Madrid, dalla fine degli anni '90 al 2007, hanno avuto un restyling totale, affidato a molti e noti archiatra, che hanno costruito molto con le più moderne tecnologie. Barcellona è stata per anni meta di laureti in architettura provenienti da ogni parte d'Europa, oggi la stragrande maggioranza dei neo-architetti, non lavora più da anni, costretti a contratti da miseria, o a darsi ad altro. A Madrid personaggi di spicco come il presidente del Real Madrid, hanno pesantemente adottato strategie aggressive sul mercato dell'immobiliare, contribuendo a metter in ginocchio il paese, intere cittadine spagnole sono ad oggi invendute.
 In Irlanda dopo le mirabolanti performance del settore immobiliare ai tempi della "tigre celtica" dal 2007 ad oggi i prezzi delle case sono crollati del 63%, ciononostante vi sono ancora circa 230.000 invenduti su un popolazione di 4,6 mlm di abitanti.
Anche in Italia i numeri non sono molto rassicuranti, dal 2000 al 2007 si sono costruite circa 200 mla case all'anno, circa 1,2 mlm in pochi anni, di queste si calcola che almeno 820 mla non sarebbero state costruite senza l'input della speculazione finanziaria, il mercato dell'immobiliare ha proceduto con un incremento netto del 10% sul valore degli immobili ogni anno inesorabilmente, per effetto dinamiche speculative inoltre, la superficie media delle case, é scesa da 85 mq a 70 mq per appartamento, in pratica nonostante l'aumento del 100% in dieci anni delle case, gli appartamenti erano sempre più piccoli. Le città italiane, oggi sono disseminate di appartamenti invenduti, in alcuni comuni di cintura, vi sono vero e prorpri palazzi vuoti, Milano ne è l'emblema, anche Bologna però non sfigura.

Risulta che gli appartamenti invenduti o sfitti nel capoluogo emiliano siano circa 21.000, questo a fronte di una città che ne conta in tutto poco meno di 200.000, circa il 10%,  nonostante queste cifre, una sterminata graduatoria di famiglie chiede accesso ad alloggi popolari, e non ha accesso al bene casa, la situazione paradossale, è poi drammatizzata da eventi successi in questi anni in cui si é assistito a veri e propri default di comunità, come quello della Copalc, cooperativa bianca operante nel settore dell'immobiliare a Bologna, che con il suo fallimento, ha lasciato sul lastrico e senza casa centinaia di famiglie bolognesi, che avevano già pagato la costruzione e del proprio appartamento, in alcuni casi sono stat sfrattati dalle loro case, dopo averle pagate.
Copalc fallisce nel 2013 con circa 100 mln € di debiti, le centinaia di famiglie degli appartamenti Copalc, non sono riusciate a rogitare e diventare così proprietarie a tutti gli effetti degli appartamenti già acquistati, oggi su quegli appartamenti ricade l'ipoteca bancaria, che rischia di mettere all'asta tutti gli appartamenti non rogitati dell'ex Coopeartiva. Altre situazioni di questo tipo sono accadute nel bolognese, sopratutto nei comuni di prima cintura, i così detti comuni satelliti che nel primo decennio del 2000 hanno visto crescere esponenzialmente gli insediamenti abitativi, e i prezzi delle case, Castenaso, Casalecchio, San Lazzaro, Zola Predosa, non esistono dati certi sul totale degli invenduti in queste zone, certo è che in molti casi si continua a costruire, in maniera folle e suicida, è il caso di San Lazzaro, dove insediamenti pede collinari sono previsti per centinai a di appartamenti, senza sapere chi e in che misura ci andrà a vivere. Molte sono le imprese costrette alla chiusura, gli studi architettonici,le ditte di costruzione, il rapporto Bankitalia di qualche mese fa, diceva chiaramente che i principali insolventi nei confronti delle banche sono i costruttori.

Il rapporto tra costruttori e banche é il vero nodo del problema. Molti degli invenduti, sono stati costruiti grazie a onerosi finanziamenti che i costruttori hanno avuto dalle banche,  un rischio d'impresa rimasto insoluto visto che poi migliaia di appartamenti non sono stati venduti, e milioni di crediti verso le banche non onorati, tali crediti attualmente sono messi a garanzie di patrimonializzazini degli istituti bancari, il più delle volte con valutazioni fittizie in quanto i prezzi degli appartamenti sono condsiderati spesso sopravvalutati tenendo conto dei prezzi per crisi. 

Risulta chiaro che le banche hanno patrimoni vacillanti, pochi giorni fa BankItalia con il Decreto IMU-BankItalia,  è stata patrimonializzata con 7,5 mld € patrimonio, questi soldi appariranno ripartiti nei bilanci delle banche italiane private che ne detengono le quote...  perché credete che sia stata fatta questa patrimonializzazione? forse perché i patrimoni di Unicredit Banca Intesa e Monte dei Paschi e giù a scendere, sono vacillanti?

La problematica su esposta crea un blocco del sistema, se una banca dovesse ammettere una radicale perdita in conto economico, su una svalutazione del patrimonio, la cosa potrebbe creare grossi problemi all'affidabilità stessa della banca, per questo principale motivo, gli invenduti rimangono tali, e i prezzi subiscono cali seppur considerevoli, ma sempre e comunque piuttosto contenuti. Rispetto al 2007 il mercato immobiliare italiano é sceso sul residenziale del 22% una riduzione contenuta rispetto alla media europea del 36%, o a quella spagnola del 48%. Gli studi di settore, dicono che i prezzi dovrebbero calare ulteriormente per sperare di incontrare una domanda presente, soprattutto nelle fascie giovani della popolazione, che ad oggi non hanno speranza di trovare accesso al bene casa, a queste condizioni,  e che acquisterebbero solo appartamenti a prezzi low cost.
  
Mentre il problema legato alle liste d'attesa si fa sempre più stringente, gli sfratti permalosità sono aumentanti del 100% in un anno, a motivo della perdita di lavoro e di reddito da parte di molti,  e dunque dell'insolvenza graduale delle famiglie, che lentamente esauriscono i risparmi di una vita, o che arrivano alla fine del ciclo di cassa integrazione.
Aumentano dunque gli invenduti, e aumentano paradossalmente le persone che chiedono accesso alla casa. 
La casa popolare ERP, è gestita in Emilia dalla IACP Acer, a Bologna nel 2012 erano circa 10.600 le famiglie in lista d'attesa, oggi sembra siano diminuite, ma il patrimonio pubblico a disposizione per le fasce basse della popolazione è totalmente inadeguato, difatti, non supera il 5% della disponibilità abitativa della città, ci sono infatti circa 12.600 appartamenti popolari di cui solo un piccolo numero - circa 400 all'anno - si libera di modo da poter essere assegnato a nuovi destinatari. 
Resta dunque l'esigenza di svariate migliaia di persone che chiedono l'accesso al bene casa. Di contro la legge regionale 24  che regola le IACP risulta avere delle lacune anche sulle soglie di decadenza per il diritto alla casa popolare, tali soglie sono ritenute molto alte stiamo parlando di dichiarazioni ISEE superiori ai 50.000 €,  inoltre dai controlli Acer, le dichiarazioni ISEE difformi sono risultate innumerevoli, pertanto si stanno cercando soluzioni, per risolvere il problema. La strategia usata dovrebbe essere l'affiancamento dell'ERP Edilizia Residenziale Pubblica al Social Housing o Ediliza Residenziale Sociale, come abbiamo visto dai dati assunti ad oggi, risulta che molte famiglie che risiedono in immobili popolari da molti anni, hanno una fascia di reddito piuttosto alta, vi è però un forte impedimento a che queste famiglie possano trovare sistemazione in appartamenti di locazione in libero mercato e liberare così preziosi posti per le migliaia di famiglia in attesa di sistemazione, per questo si cerca di offrire alle famiglie che se lo potrebbero permettere delle condizioni agiate, per incentivarle ad uscire, da qui il Social Housing.

Il social Housing ha bisogno di condizioni minime da rispettare è difatti molto facile, che questi esperimenti si trasformino in nuovi invenduti, la prima condizione e che ci sia la domanda, come per esempio le liste di attesa Acer, la seconda che il ciclo del progetto sia sostenibile in termini di costi di costruzione e di tassi d'interesse. Tutto ciò è basato ancora su fondamenti molto labili, spesso scritti solo sulla carta, abbozzati nei principi, e indefiniti nelle linee guida di sostenibilità economica e sociale, per questo bisogna trattarli con la massima attenzione. Sul tema, esistono alcune sperimentazioni in città che potrebbero a breve vedere applicazione. La nuova Bolognina, ex mercato Fioravanti in fronte alla nuova Stazione e al nuovo Comune, dovrebbe nei prossimi anni assumere un assetto strategico in questo senso. Sembra infatti che dopo una lunga fase di stallo dovuto a un blocco del progetto su una vertenza tra il Comune e la società che avrebbe dovuto costruire già da diverso anni or sono il progetto del Naville, lo sviluppo della zona possa trovare a breve applicazione. La zona é indubbiamente da riqualificare, salendo agli ultimi piani del nuovo palazzo del comune di Bologna, di via Liber Paradisus, -  in un avveneristico palazzo di vetro costruito a firma dell'architetto Mario Cucinella - , il colpo d'occhio é desolante, come pensare ad una città immaginifica, che nel 2005 si vedeva come la Barcellona di cui sopra, e che invece si é svegliata nel bel mezzo di un sogno, per ritrovarsi scioccata nella realtà della crisi, lì al 12° piano della torre, si scorge ai piedi schiacciata la nuova Stazione Ferroviaria dell'Alta Velocità, è un cantiere ancora aperto, che dal 5 piano sottoterra e per lunghi chillometri in lunghezza fa transitare nel buio la gran parte del traffico nazionale dell'alta velocità, questo lascia gli 11 binari della vecchia Stazione semi deserti, senza una chiara idea di quel che sarà in futuro, vieppiù che tutta la parte superiore della stazione anch'essa basata su un avveneristico progetto di arcate in acciaio e spazi commerciali ecc. ecc. ad oggi è in fase di incerta realizzazione finale, mancherebbe la copertura economica per finirla, finito é invece l'enorme torione del parcheggio a pagamento degli uffici del nuovo palazzo del Comune, opera necessaria? Affatto!  Perché per quanto il caro Cucinella abbia da spendersi sull'architettura sostenibile, non si spiega il come mai della scelta dell'enorme parcheggio torroidale, nonostante sull'altro fianco del Comune, l'enorme distesa delle tettoie in cemento anni '30 dell'ex mercato, giace transennata, i dipendenti del Comune mi dicono che sarebbe stato un  ottimo parcheggio, tra l'altro le tettoie lì rimarranno, perché sono vincolate dalla sovrintendenza come architettura industriale, ok, quel che fatto é fatto impariamo dal passato? chissà!  
Sempre sulla torre, volgendo lo sguardo verso al Bolognina che fu, tutto lo spazio a colpo d'occhio risulta melmoso nell'eterno dei cantieri, qui mentre la città sognava ancora nel 2008, si era pensato a un altrettanto avveneristico progetto residenziale con file di investotori disposti a sacrificarsi, per dare alla città l'immagine metropolitana di una nuova golden age, le viste 3D sono affascinanti, verde, case sporgenti , cubi e forme sublimi, come vedere un quadro di Mondrian, e un primo piano di bambini che giocano ovviamente. Oggi di tutto ciò, 7 anni dopo, si erge solo un palazzo di opinabile struttura architettonica contornato da due tre gru, che rappresenta la parte privata di costruzione a libero mercato della nuova City del Navile, il resto del progetto quello del Social Housing non è mai andato in porto per gli insostenibili costi che avrebbero presupposto un prezzo di vendita degli appartamenti a 5000 € al mq, la medio-alta borghesia che avrebbe dovuto insediarsi in quegli appartamenti, oggi non esiste più, esiste invece una variegata cittadinanza interculturale di una città post industriale, che ha rinnegato nel supermercato della Minganti l'identità operaia, della sua bolognina, oggi c'è la china town di via ferrarese, e una gran voglia di tornare a rendere popolare la new City del Naville che sarà e che così non potrà rimanere. 
Il progetto che verrà dell'ex mercato ortofrutticolo di Bologna prenderà la luce, ospitando circa 400 appartamenti non destinati alla vendita, ma solo all'affitto a canone calmierato, fatti per una cittadinanza piccolo borghese, che sta facendo i conto con l'estinzione graduale e inesorabile della classe media,  il business plain complessivo vale 70 mln€ e sono in corso varie trattative con SGR di Cassa depositi e prestiti, per reperire il capitale necessario allo start up. In questi appartamenti, si vorrebbe far transitare parte considerevole della cittadinanza che oggi occupa le case popolari e che come dicevamo supera la soglia di decadenza di diritto all'alloggio, le nuove case del Naville saranno messe al 100% in affitto a canone calmierato, a una cifra che dovrebbe aggirarsi intorno ai 7€ al mq. Non staremo in questa sede a fare considerazioni su quanto questa operazione potrà essere sostenibile, certo é che costruire su progetti vecchi di un decennio, progetti tarati su altre condizioni economiche e tecnologiche, é sicuramente triste per la Città, pensare che l'imponente e costruttivista Porta Europa affaccio a nord est della città su Via Stalingrado sede di Unipol, venne ultimata intorno al 2009 su progetto dell'84, certo non ci gratifica. Non é solo Bologna in quartese condizioni,  l'Italia intera é un dinosauro nel settore amministrativo, urbanistico, edilizio. Per rifare un nuovo progetto delle dimensioni del Naville potrebbero passare anni e dunque invece che pensare a una tipologia di appartamenti leggeri, magari più spaziosi, in classe A, antisismici, si costruirà con metodologia classica con un lungo e dipersvio ciclo dell'edilizia, con cantieri pericolosi e interminabili, ritardi varianti, per avere alla fine molte case in classe B su un progetto avveneristico e dispendioso, come la sede del Comune in fronte. Ora, lasciando da parte il progetto del Naville, che per posizione nella città ed esigenza della popolazione,  ha i termini minimi per poter essere svolto con utilità della comunità,  sappiamo bene che molti sono gli architetti, che con rassegnati ammettono che non ha più senso mettere giù neanche un mattone di nuovo costruito, altrettanti sono gli economisti che da tempo hanno disinvestito nel settore, gli unici che proprio non riescono a rassegnarsi, sono i luogotenenti della vecchia guardia della filiera produttiva dell'edilizia abituati alle rendite da sogno, anche la politica non se ne fa una ragione, è impensabile parlare di nuove costruzioni in zone dove questo non è necessario, ed usare la formula del canone calmierato, del social housing, del residenziale sociale, in luoghi dove non son previsti aumenti demografici significativi, soprattutto in luoghi periferici, che hanno esaurito la loro spinta propulsiva di accoglienza del passato, accoglienza legata alla fuga dalla città nella prima cintura in un esodo che oggi sembra esaurito, pertanto è impensabile pensare a nuovi appartamenti che vogliano essere venduti a meno che non li si venda a 1500€ al mq, non come a San Lazzaro dove la media si aggira sui 3000 € e dove forse 3000 sono gli alloggi invenduti o sfitti (siamo ironici).

Gli investimenti vanno fatti in altro modo.  Basti pensare che in Inghilterra abbattono e ricostruiscono le palazzine squallide degli anni '60 con forme e strutture moderne su prefabbricati custumizzabili in lego e fibra di lana roccia, con materiali totalmente riciclabili, costruendo come fanno a Vienna le case in fabbriche di falegnameria,  e assemblandole con cantieri di pochi mesi, il tutto per costi molo irrisori.  A Lugo è stata sperimentata questa tipologia di produzione, con una ditta bolognese, peccato che la stessa nonostante sia molto competitiva - costruisce a un costo di 
 1150€ al mq -  faccia fatica ad affermarsi e fatichi ancor più a non essere messa fuori mercato dalle lobby del mattone, e dai progettisti stessi, che non ne conoscono neanche l'esistenza. Come non conoscono l'esistenza delle ESCO e delle società finanziarie per la riqualificazione del territorio. E' proprio vero! Siamo dei Dinosauri!

Maurizio Tarantino