mercoledì 6 maggio 2009

l'articolo


Lettera aperta ad Alessandro Baricco.

Il suo lungo, ammaliante e propiziatorio, articolo apparso su Repubblica 24/02/09, mi ha lasciato una disincantata senzazione, come chi, per l’ennesima volta, resta deluso da esponenti dell’intelletto contemporaneo, asserviliti a forze egemoni e disposti ad elogiarne le iniziative, senza senso critico e storico alcuno.

A mio avviso la sua posizione sul finanziamento pubblico allo spettacolo in Italia, risulta essere faziosa e quantomeno anacronistica.

Nel suddetto articolo, con un esoterico giro di metafore lei porta l’attenzione sulla grave crisi economica che il mondo sta attraversando, e sulle dirette conseguenze che questa inevitabilmente avrà anche per la cultura, il teatro, il cinema, la musica attualmente finanziate per larga parte dal FUS Fondo Unico Spettacolo.

La sua autorevole penna si abbatte come una scure sul parassitismo delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, sulle lobby del cinema, sugli sprechi di un Ministero della Cultura che forse a questo punto non ha più ragione di esistere.

In mano al privato dunque! Diamo adito all’iniziativa, alle agenzie, alla concorrenza al mercato, ai finanziatori (banche? Imprese? Editori?) che dalla messa in scena, sapranno trarre profitto introducendo ninfa al merito e alla qualità!

Tutto molto semplice dunque: il lume dell’intellighenzia è il profumo del cash!

Il mito? Il sentiero da seguire? Bè! Lo conosciamo già da tempo, è il pragmatismo iperliberista che partendo da Regan arriva fino a Bush junior.

Solo che… ho un fastidioso sibilo nell’orecchio, che mi distorce questa armoniosa sensazione di sogno amenricano; è un sibilo che lentamente si distingue in parola…e che riecheggia:

il crollo, la crisi…

Ma si! ecco cosa non torna signor Baricco! Come è mai possibile che in un momento in cui persino in Italia (che è l’ultimo stato che se lo può permettere) si parla di nazionalizzare gli istituti di credito, lei ipotizzi una definitiva privatizzazzione del sistema di produziione culturale? Quindi: banche pubbliche e teatri privati?

Ma torniamo per un attimo al mito: gli Stati Uniti, dove le eposizioni fianziarie scoperte per circa 10 trilioni di dollari, raggiungono quasi l’intero Pil americano di 14 trilioni; dove i grossi fondi “privati” emmessi da auterovoli istituti finanziari, dai fondi immobiliari a quelli pensione, passando dal credito alle imprese, al sistema universitario, dalle assicurazioni per la salute, al finanziamento della cultura, finora principali finanziatori non solo del sistema economico, ma anche della struttura sociale; ora si ritrovano in ginocchio con pesantissime ripercussioni sui cittadini, e sull’intero sistema che a questo punto definirei postcapitalista.

Un paese che ora grazie al suo nuovo presidente Obama, ma soprattutto allla congiuntura economica senza precedenti che sta affrontando, si è rimesso in discussione. Una pseudo nazionalizzazione da socialismo velato e discreto, che ha praticamente raso al suolo tutta la dottrina liberista della deregulation americana.

La domanda viene da sè dunque: è ancora possibile prendere questo modello di societa’ come esmpio da seguire? E nello specifico: è ancora credibile un finanziamento totalmente priovato della produzione culturale italiana che scimmiotti l’ormai decadente sistema d’oltreoceano?

A me sembra una proposta ceca, che non si confronta con la situazione attuale e che con ogni probabilità se attuata porterà allo sgretolamento dell’identità culturale nazionale e a una graduale dissolvenza del melodrammma musicale e del teatro in generale, in favore di forme più leggere di avanspettaccolo, varità, musical, e più in generale di uno pseudo teatro generalista di modello televisivo.

Comprendo e approvo a pieno il decadente stato di baracconi post-statali, come le Fondazioni lirico sinfoniche. Ma l’approccio alla soluzione delle problematiche di ristagnazione culturale, scarsità di idee, mancanza d’innovazione, nonchè onerosi costi di personale il più delle volte poco stimolato e in alcuni estremi casi, parassitario, non è sicuramente quello proposto da lei proposto.

La sua proposta mi fa tornare in mente i decreti Gelmini, che per metter ordine in un’università regnata dai baroni , mina con pesanti tagli, il futuro della stessa, lasciando di fatto a casa i primi a perdere il posto in periodi di ristrettezze, cioè i giovani precari, magari più attivi e volenterosi nonchè portatori di innovazione, a dispetto di chi (i baroni) rimarra’ comunque sul suo trono.

I teatri non propongono il nuovo non precorrono i tempi, perchè in mano a lobby di vecchi registi, scenografi, e artisti in genere. Producono debito, perchè amministrati da un’establischment di sovrintendenti che attualmente costituiscono l’unica viziosa circuitazione di cui tanto si parla.

Svecchiamo un pò il sistema quindi, e incentiviamo nuove correnti, innalzando i finanziamenti al pari della Francia e degli altri paesi europei.

La cultura e l’arte dovrebbero assolvere al compito di faro illuminatore e precursore, e dovrebbe essere fatta dai soggetti più meritevoli e lungimiranti, ha bisogno dunque di autonomia e stabilità di risorse e soprattutto di leggi che non siano quelle del mercato.


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