sabato 31 agosto 2013

Vendono la terra sotto ai piedi

Assisto ogni anno, a un graduale mutamento lento inesorabile e incontrovertibile, delle terre del Sud, e in special modo del Salento. Avvezzo a girare in lungo  e in largo questi luoghi fin da adolescente, quando in vespa i litorali scorrevano lisci come il vento sulle spalle ustionate, avvezzo a intenderli come miei, come qualcosa di cui faccio parte, come qualcosa di insito ormai nel mio dna, avendoli visti selvaggi, genuini incontaminati e accessibili, imperbi e scomodi, quanto naturali e accoglienti, avendo gustato il sapore dello iodio bruciato dal sole, lontano dai rumori e dagli umori cittadini, essendomi tuffato da 20 metri d'altezza in una giornata di sega a scuola sulle scogliere di Otranto, avendo fatto decine di enormi salti dalle alte dune di Torre Dell'Orso fin sotto la sabbia,  avendo esplorato con una maschera e un cannolo le spiaggia sotterranee della Poesia di Roca Vecchia, e sempre qui aver fatto scalate degne di un free rider per raggiungere gli isolotti delle false torri saracene, in mezzo al mare, per scoprirne nei fondali le tombe messapiche, dopo aver vissuto intensamente le pinete come vive, e aver organizzato e partecipato a decine di dance hall pirata nella notte fino al mattino, dopo aver vissuto, urlato, scappato, litigato, ballato, dormito, amoreggiato, dopo essermi picchiato, caduto e rialzato, in quei luoghi,oggi faccio molta fatica.

Fatica a concepire il nuovo che avanza e detta nuove leggi e codici ai luoghi ai territori alla cultura stessa di questi posti.



E non é per non voler comprendere la sacrale importanza dell'indotto turistico, non é per non rendermi conto che 8 mln di turisti l'anno generano 5 mld di giro d'affari per il Salento ogni anno, non é che sia totalmente stupido a non sapere che insomma "di sicuro la sopra qualcuno ti ama" e che quindi bisogna essere ottimista, positivista, a tratti evoluzionista e giustificare ogni qual cosa che il Dio sviluppo ci propinqua, non nego che un Salento alla Briatore non abbia una remota eppur desiderabile attrazione per il mio essere animalesco e pulsionale, nel volermi immaginare in una societá effimera e regina della notte e del non giorno, non é che non sappia che insomma "s'ave mangiare pure quai"!

É solo che quando vedo, vivo o penso alle fasi evolutive, mi ritorna sempre in mente il paragrafetto di un libro che mi é rimasto molto impresso, "Scritti corsari", sul concetto di "sviluppo senza progresso" Pier Paolo Pasolini. 
Non starò a fare la manfrine su quanto lo sviluppo sia di destra o il progresso sia di sinistra, su quanto i due termini apparentemente sinonimi, siano in verità contrari, ma d'altro canto, non posso neanche non rilevare, quanto i modelli fallimentari e gli errori del passato, nono sano mai in grado di insegnare al futuro cosa fare e non fare. Cosa sia stato giusto e cosa invece sbagliato. Dunque se penso agli anni '60 in cui una società fondamentamete ignara e proveniente dalle terre aride o paludose della campagna, si accinge a scoprire l'esistenza della villeggiatura, e il motore dello sviluppo romba a pieni giri, e nonostante le digressioni e le invettive di Pasolini sul Corrire della Sera, a Ravenne si costruisce Lido Adriano, su uno sky line di svariati km di palazzoni di 15 piani stagliati sulla spiaggia, la stessa lido Adrinao che oggi è nella sua metafisica esistenza, abitata dalla sotto- borghesia urbana, del basso ferrarese, e dalle centinaia di extracomunitari, che magari la usano come centrale di smistamento, rendendola di fatto un ghetto. Altri e ben più notevoli scempi furono fatti con il villaggio Coppola di Caserta, con gli eco mostri di Bari, con il passaggio di una strada intera nella spaiaggia gallipolina di San Giovanni, esperienze disastrose, fallimenti totali e devastanti, come la scelta di impiantare lo stabilimento Marcegaglia in pieno litorale ravennate, in una delle zone più interessanti per natura e storia di tutta la penisola, non parliamo poi delll'Ilva  ne tantomeno degli stabilimenti ENI a Gela Sicilia. Non parliamo della Calabria, e di tutti i paesi doppi del suo litorale ionico, Bova e Bova vecchia, Ferruzzano e Ferruzzano vecchia, in cui il vecchia, sta per pase di montagna abbandonaro, in genere abitato da una decina di vecchietti caparbi, e il nuovo é invece uno scempio di speculazionene edilizia sulla costa, daltronde ilprimo é stato lo stato, a far passare ferrovie e autostrade a poche centinaia di metri dalla costa, il resto lo hanno fatto le amministrazioni locali totalmente inadatte ad amministrareil territorio.
Taranto vecchia, é un enorme e affasciannte centro storico abbandonato, dove le case e i palazzi siano essi nobili o popolari, siano del clero o dei pescatori, sono grossi contenitori vuoti senza finestre, nessuno si azzarda a ristrutturarli, arendere vivo questo grande insediamento storico immerso nel golfo. L'industrializazione della cittá ha creato ghetti dormitorio, come il quartiere tamburi o Taranto 2 , case con servizi igenici, che hanno fatto si che il centro, si sia svuotato innpoche decine di anni pasando da 27000 a 1500 abitanti. Gran parte del nostro patrimonio paesaggistico, é di fatto irrecuperabile. Ma voglio sforzarmi e pensare che come i tossici degli anni '80 non avevano coscienza che di eroina si moriva, perché erano i primi a sperimentar la in massa, così la società degli anni sessanta non sapeva quale che faceva, pochi intellettuali non facevano abbastanza rumore, e "Le mani sulla città" di Francesco Rosi, davano appena un allarme in una società troppo indaffarata a guardarsi allo specchio.

Mi chiedo invece oggi, e lo chiedo a tutti, sindaci e politici, giornalisti locali e amministratori della pubblica e sottolineo pubblica amministrazione, un amministrazione che per alcuni Comuni del Salento come Meledugno, Nardó, Otranto, Gallipoli, vuol dire amministrazione di un bene comune, un bene dei cittadini nati e cresciuti in questi luoghi, un bene per le generazioni future, mi chiedo dunque, come vogliano gestire questo bene, dopo tutta l'esperienza pregressa, senza cadere nel grave errore di assegnarne la gestione al libero mercato. Mentre si parla di creare nuovi villaggi vacanze a Porto Selavggio, zona naturale protetta, mentre a Porto Miggiano hanno di fatto tagliato un'intera pezzo di scogliera, per farne una spiaggia, e sopra al mare, si sia costruito un enorme restor di lusso, con tanto di piscine e terrazze sul mare, mentre scendo le altissime e nuovissime scalinate che portano agli scogli, mi chiedo, cosa succederà se l'anno prossimo per fare il bagno al mare dove sono nato, mi toccherà pagare 20 € al giorno, come é già successo nella spiaggia di Torre dell'Orso ormai totalmente assegnata ai gestori di bagni a pagamento, nella scogliera della Casa Matta ad Otranto,
ogni anno un pezzo di spiaggia, di scogliera, viene tolta ai cittadini e messa a pagamento. Tale business dei litorali salentini, non é poi così lungimirante, di fatto molti ristoranti e discoteche e bagni, sono in mano a pochi grossi impresari, e il cospicuo indotto del turismo vacanziero, non va poi ad arricchire la popolazione locale, ma i pochi magnati del divertimento e dello svago. Le amministrazioni, i giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno, non fanno altro che fare un grande balletto del si del forse quasi mai di un chiaro no, per legittimare la privatizzazione dei litorali. Mi chiedo se il turismo voglia dire tutto ciò o se invece debba essere usato un modello più equo e sostenibile, più partecipato, e nell'atto decisionale, e nell'atto economico. Fare una nuova copia del litorale romagnolo o cercare il vippismo delle coste sarde non é la soluzione! E' il problema!

Maurizio Tarantino