martedì 21 agosto 2012

Cristo si è fermato a Taranto. Ilva una storia italiana









Mentre il 15 Agosto passavo come ogni anno nel tratto che collega l'Appia Brindisi-Taranto alla 106 che porta tra mille avventure a Reggio Calabria, l'aria di quella tangenziale, per quest'anno 2012, mi era sembrata meno rossa, meno opprimente, meno sfiduciata. Era forse l'87 quando per la prima volta con il pulmann della visita guidata delle scuole elementari passai da quella che allora era L'Ital-Sider, quello splendido esperimento tutto italiano, con il quale si volle dare slancio al Sud  con l'industria pesante di Stato, un'industria dalle enormi potenzialità, l'Iri fu per anni la più grande azienda industriale fuori dagli States, un esperimento di commistione tra l'esperienza liberale e quella comunista, insediata in tutti i rami produttivi della nazione, con partecipazioni a garanzia, a sostegno, nelle più grande imprese private e pubbliche italiane dall'Alfa Romeo alla Rai, dall'attuale Finmeccanica alla Fincantieri. L'industria delle famigerate cattedrali nel deserto, non solo dell'Iri, anche dell'Eni, nel deserto industriale di Taranto, come di Gela,  luoghi sperduti, dati alla cultura antica, alla natura, ai braccianti. E stridente era ed è ancora l'incrocio degli scorci di vecchie masserie (20 anni fa ancora attive) e enormi ciminiere, splendide palme, torri contadine, insediamenti rupestri, e ancora bracci meccanici, enormi file di cisterne, lunghe distese di mare, e quel rosso, denso di fumo e sabbia, denso di aria irrespirabile, che ricopriva tutto. Il golfo di Taranto è per la memoria di generazioni presenti un ricordo, l'immaginario collettivo di quelle spiagge di quelle scogliere, di quello che fù, manca ormai totalmente. Lo si può imaginare dalle spiagge ioniche del Salento dalle riserve anch'esse minacciate come Porto Selvaggio, da questi scorci di natura resistente, si evince cos'era il golfo di Taranto, cos'era la Magna Grecia. Non certo da ciò che ne rimane, 20-25 km di litoranea, costeggiata da una tangenziale a 4 corsie, che senza ritegno mostra la cattedrale a chi fa il tour in macchina, uno mostro che schiaccia l'identità locale, e perfettamente in contrasto ridisegna la storia del posto. Antonioni e il suo Deserto rosso del ravennate, sfuggono al confronto, impallidiscono, qui non siamo nella metafisica padana, dove la pianura non è stuprata fino in fondo dagli insediamenti industriali, qui siamo nel Salento, selvaggio, assolato, rosso, già di per sè vivo recalcitrante, è violentata l'ingenuità contadina. Ricordo nel 2005 dopo esser passato già tante volte in quella zona, di essermi impuntato, e, in uno dei miei frequenti viaggi da Lecce a Reggio Calabria, mi sono deciso a fermarmi nel bel mezzo delll'Ilva per poterla fotografare. Ogni scorcio della grande industria, uscivo nella prima uscita disponibile nell'intento di scendere dalla macchina e fotografare. Ma mi risultava quasi impossibile, appena fuori della tangenziale, una confusione di mezzi pesanti, di cancelli sbarrati, di campagne incolte, ora trasformate a cimiteri di autobus bruciati, ora arse e rese a discariche con branchi di cani randagi, un paesaggio surreale, fittizio, nel silenzio dei rumori della fabbrica, e quella ossessionante e fissa sensazione di pericolo,  quella latente ma inesorabile aria di morte. 180 morti sul lavoro più del 85% della diossina emessa nell'intera penisola italiana, cancro e patologie neurologiche sopra del 30% rispetto alla media nazionale, autismo sopra del 50%, migliaia di capi di bestiame abbattuti per l'alta presenza di inquinanti nelle carni, benzopirene, diossina, gas nocivi, veleni di ogni sorta.

Quartiere Tamburi, circa 17000 abitanti, addossati alle centrali di stazionamento minerario


“Il problema delle polveri e dei metalli nell’aria del quartiere Tamburi è legato ai parchi minerari. Il problema Ipa (idrocarburi policiclici aromatici) è legato alle Cokerie”, rileva con chiarezza il ricercatore. “Ci sono pochissime realtà che utilizzano fasi a caldo come quelle usate dall’acciaieria a Taranto, bisogna andare in Pakistan o in Polonia per trovare realtà uguali”.




Un quartiere rassegnato, fermo immobile oppresso dai fumi dell'aria irrespirabile, le aree più inquinate del mondo, concorrono allo stesso livello con questo quartiere. Un quartiere di casermoni, lunghe e monocromatiche palazzine dormitorio, dove stazionano gran parte dei 9600 operai dell'Ilva,  non certo i 15 dirigenti ne tantomeno i 90 quadri. Le macchine parcheggiate sono tutte fiat punto degli anni '90, macchine del sottoproletariato, di chi non ha niente e nulla chiede in cambio, disposto a lavorare e dare la sua vita per il lavoro, per mantenere una famiglia lontana chilometri, nel basso Salento, nell'alto foggiano, o in chi sa quale altro posto sperduto della lucania, un quartiere caserma, con qualche sparatoria, nessun diversivo, e tanta depressione, ricordo che il grigio, mi lasciava immobile, e avevo paura a tirare fuori la mia macchina da presa, è la vergogna che ti assale quando ti senti di voler immortalare un animale in gabbia. Chi sono io per venire qui e giudicare. Chi sono per non comprendere che per molti questo lager è l'unico modo di sentirsi in grado di esistere, in sud lacerato dalla disoccupazione, lavorare all'Ilva non è poi così diverso da fare il poliziotto in sperduti paesini del Nord, l'operaio alla Fiat, la guardia carceraria in un carcere sovraffollato l'infermiere in un reparto di malattie infettive. E' un posto fisso! Uno di quelli per i quali qualche tempo fa era normale pagare una piccola tangentina di 2 mln di £,  un posto con  il quale nei tre giorni al mese in cui puoi tornare a casa dalla tua famiglia, puoi far vanto, magari con la tua macchina nuova a rate, magari potendo finalmente pagare da bere agli amici, gli amici che mai sapranno e vedranno in quale deprimente posto passi la maggior parte delle tue giornate.  Nino mio vecchio amico lavorava all'Ilva, faceva circa 300 km al giorno in macchina tra andata e ritorno, per non restare al quartiere Tamburi, Nino 38 anni, ora non c'è più... Si bucava da quando ne aveva 23, e già allora lavorava all'Ilva e non ha mai fatto mistero di cos'era il rione Tamburi, " a Taranto t'hai adattare" diceva sempre,  era semplice molto disincantato, innamorato di una ragazza del suo paese che proprio non ce l'ha fatta a stargli a fianco in quelle condizioni; non ha resistito Nino alla perdita dell'unico motivo della sua esistenza.  

Il sindaco di Taranto Stefàno, propone oggi di spostare, (qualcuno dice deportare) circa 40.000 abitanti di quello e di altri quartieri limitrofi, in altri luoghi... per consentire all'Ilva di continuare a produrre. A produrre... ma perchè è così importante produrre, talmente importante da mettere in terzo piano il diritto primario di ogni democrazia avanzata, il diritto alla Salute. Nel nome della conservazione di un'idustria fatiscente, non solo i cittadini di Taranto, ma l'Italia intera si è lasciata sottomettere. Non in grado di fare scelte, intere generazioni di politici, hanno piegato e continuano a piegare la testa davanti a qual si voglia potentato imprenditoriale. Cosa fu l'epoca delle liberalizzazioni che ha conivolto anche l'Italsider, è ben comprensibile da questo stralcio di rapporto della Corte dei Conti, che nel 2010 circa 10-15 ani dopo si pronuncia in questi termini:


 Il giudizio, che rimane neutrale, segnala sì un recupero di redditività da parte delle aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che, tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza quanto piuttosto all'incremento delle tariffe di energia, autostrade, banche, etc ben al di sopra dei livelli di altri paesi Europei. A questo aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di investimento volto a migliorare i servizi offerti.[13] Più secco è invece il giudizio sulle procedure di privatizzazione, che:

«
 evidenzia una serie di importanti criticità, che vanno dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors ed organismi di consulenza al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito[14] »


Forse la storia dell'Ilva riassume la storia d'Italia, il passaggio da una prima Repubblica seppur clientelare, oscura, ambigua e oligarchica, ma comunque in grado di tenere un timone, e di fare scelte, e proporre soprattutto nella sua prima fase, modelli di sviluppo peculiari, non brutte copie dell'imprenditoria di oltreoceano, a una Seconda Repubblica ora di nani e ballerini ora di classi dirigenti con crisi di identità, non in grado di sostenere se stesse, e in balia del pensiero unico neo-liberal, de-regolation, market-friendly.
La gestione del patrimonio industriale di Stato, è stata sbagliata per lunghi tratti, utilizzata quale paracadute per imprese insostenibili, ai limiti dell'ammortizzatore sociale nel riassorbire lavoratori in esubero e non da ultimo, fonte di investimenti totalmente fuori luogo, quali quelli di dover per forza investire in un mezzogiorno, sprovvisto di competenze tecniche, di know how per la gestione industriale, ma soprattutto di una classe politica affidabile. Da motore del miracolo italiano, l'Iri, risente pesantemente la crisi degli anni '70, proprio perché salva con i suoi interventi di Stato molte aziende sull'orlo del fallimento, gli anni '80 quelli della presidenza Prodi, sono già gli anni della riforma dell'ente, iniziano le cessioni, i prepensionamenti, le liquidazioni, e l'Italsider era tra queste. La siderurgia era in perdita, inadeguata, fatiscente.

La liquidazione degli anni '90 è mistificata, sminuita, interiorizzata ed esclusiva, pochi si rendono conto di quello che sta accadendo, sono gli anni di tangentopoli, della Montedison, del suicidio Gardini, e poi le bombe di Capaci e via d'Amelio, la guerra in Bosnia, il disfacimento del PC con la svolta della bolognina, l'ingresso in campo diretto dell'imprenditoria filo-craxiana con Berlusconi, sono anni di stordimento di massa, cala la soglia di attenzione e l'evento più meritevole di vigilanza, riamane delegato. Tra il 1991 e il 2001 Mario Draghi presidente del Comitato per le privatizzazioni per un decennio guiderà le più importanti dismissioni di patrimonio pubblico della storia d'Italia.

Dal sito ufficiale di Confindustria:

«Tra il 1993 e i primi mesi del 2001 in Italia sono state effettuate cessioni al mercato di quote di aziende pubbliche per circa 234.800 miliardi di lire. Le cessioni hanno riguardato importanti aziende di proprietà del Ministero del Tesoro (come Telecom, Seat, Ina, Imi, Eni, Enel, Mediocredito Centrale, Bnl), dell’Iri (come Finmeccanica, Aeroporti di Roma, Cofiri, Autostrade, Comit, Credit, Ilva, Stet), dell’Eni (come Enichem, Saipem, Nuovo Pignone), dell’Efim, degli altri enti a controllo pubblico (come Istituto Bancario S. Paolo di Torino e Banca Monte dei Paschi di Siena) e degli enti pubblici locali (come Acea, Aem, Amga)». 

Si ricorderanno a tal proposito le parole di Francesco Cossiga, che senza peli sulla lingua accuserà Draghi di aver favorito nelle cessioni ai suoi amici di Goldman Sachs.
In tutto ciò molto è stato concesso all'Ilva... oggi i giudici lasciano intendere il dolo per la famiglia Riva, dichiarando senza troppe interpretazioni, che quella di inquinare è stata una scelta, con il chiaro presupposto di aumentare i profitti. E' chiaro a tutti che le ricadute occupazionali sociali e ambientali di un'eventuale chiusura sarebbero poco sostenibili per un'area dell'Italia in cui manca lo spirito di iniziativa imprenditoriale. Verrebbe spontanee il paragone con Pittsburgh con Ohio, delle grandi acciarie della storia d'America, dismesse in todos negli anni '70 per svariati motivi, non utlimo quello ambientale, Pittsburgh era una città con i lampioni accesi anche di giorno, tale era la polvere degli altiforni. Oggi dopo un trauma iniziale di pochi anni, la città è leader nell'alta tecnbologia ferroviaria ne sa qualcosa l'Ansaldo, puntando sulla ricerca, le università hanno abbattuto la depressione e rilanciato il territorio, così rinasce sulla ruggine delle sue enormi acciaerie dismesse (oggi centri commerciali) la città simbolo della produzione di acciaio del XX secolo. La ricerca industriale in Italia, sembra essere stata abbandonata ormai totalmente, troppi impegnati nella dismissione del patrimonio pubblico, nell'assegnazione dello stesso senza se e senza ma, senza regole né limiti, abituati a trattare le grandi famiglie dell'imprenditoria come Dei in terra, non ci siamo resi conto che il conservativismo è un cancro per la rigenerazione ed il progresso. Qualcuno ha parlato molti anni fa di distruzione creatrice, qualcuno l'ha capito e l'ha attuato, qualcuno non lo capirà mai... intanto Taranto affoga nel benzopirene, e in quel mare rosso di "Acciaio e malattie" la nostra classe dirigente guarda incantata il suo tramonto.

Maurizio Tarantino